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Roero Docg, un vino inconfondibile dal colore rubino brillante

Trovare il confine tra Langhe e Roero, imbracciata sottomano una carta del Piemonte, è semplicissimo: lo spartiacque tra questi due iconici territori è il Tanaro. Semplificando, alla sua sinistra abbiamo il Roero, mentre alla sua destra troviamo le Langhe, a loro volta suddivise tra bassa ed Alta Langa; insomma, se siete in Langa ed attraversate l’affluente del Po siete arrivati nel Roero, e così viceversa. Sembra facile, ma il discorso diventa più complesso man mano che arriviamo al confluire di Roero, Langa, Monferrato Astigiano ed alto Monferrato Acquese: fino a non troppi anni fa, per fare un esempio, guardando sul depliant dell’Ente del Turismo, Canelli, una delle capitali mondiali del vino, non apparteneva al territorio delle Langhe, mentre diversa era l’opinione di Wikipedia, che ne indicava come appartenente una buona fetta del territorio; il Sito del comune di Canelli, più neutrale, protende per una via di mezzo, indicando la città come immersa tra le colline di langhe e Monferrato. Ma perché questa premessa?

Ebbene, laddove alle volte un cartografo può risultare in difficoltà, un piccolo e umile indizio può venirci in aiuto dalla cucina, che da sempre contraddistingue le tradizioni locali grazie ai prodotti tipici che popolano le tavole di ogni regione. E poche cose sono simbolicamente vicine al territorio del Roero come il vino che ne prende il nome, il Roero DOCG. Dall’inconfondibile colore rubino brillante, il Roero DOCG si fa riconoscere all’amatore per il caratteristico sentore di lamponi e more selvatiche, impreziosito dalle note di cannella, vaniglia e legni pregiati. Dall’equilibrato contenuto alcolico, che ben si adatta all’elevato gusto zuccherino, il rosso del Roero è il perfetto accompagnamento per carni rosse dal sapore importante, come lo stinco o le selvaggine, ma che non disdice affatto abbinamenti con primi dal sapore intenso come gli Gnocchi al Castelmagno.

Botti di legno utilizzate nella produzione del Roero Riserva

Storia

Nel Piemonte, come riporta il sito del Consorzio del Roero, la produzione ed il commercio vinicolo sembrano risalire al VII secolo a.C, data a cui rimandano i più antichi ritrovamenti di anfore vinarie e di vinaccioli di viti coltivate, da far risalire presumibilmente alle popolazioni etrusche che popolavano all’epoca la zona. Se, quindi, fin dalla presenza dei liguri è attestata nel Roero la passione per la “viticoltura”, questa si svilupperà in senso sistematico soltanto con l’arrivo dei Romani, entrando poi in crisi con la caduta dell’impero. La prima citazione storica sulla coltivazione del Nebbiolo, uva destinata alla produzione del Roero DOCG, sembra essere quella dei “Documenti sulla Storia del Piemonte”, da cui risulta che nel 1268 questa varietà fosse coltivata a Rivoli, sulla collina torinese. Documenti storici citanti espressamente la coltivazione di uve Nebbiolo nel territorio del Roero arrivano però soltanto nel 1303, dove il vitigno sembra trovare il suo habitat naturale: se nel mondo il Nebbiolo dispone di una superficie totale di circa 5.500 ettari, basti pensare che oltre 4.000 sono quelli che si trovano nel territorio delle Langhe e del Roero. Se le vicende del Roero come vino ottenuto dal Nebbiolo inizieranno soltanto a metà degli anni Ottanta del Novecento, i legami tra questa varietà vinicola e le colline che nell’Albese stanno alla sinistra del Tanaro sono decisamente più antichi

Come scriveva Renato Ratti nel suo Guida ai vini del Piemonte, “Il più illustre personaggio allietato dal Nebbiolo dei Roeri fu, secondo la tradizione e deduzioni storiche, nientemeno che Federico Barbarossa, il grande imperatore, in uno dei periodi il cui l’avversa sorte lo costringeva a cercar rifugio con pochi fidi in asili sicuri“. La storia recente ha poi visto la definitiva conferma del vino Roero, ormai apprezzato tanto quanto il suo cugino bianco, l’Arneis Docg. Dopo il decreto ministeriale del 7 dicembre 2004, che dava il via libera al riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) al Roero e ne sanciva la base ampelografica con Nebbiolo dal 95 al 100% – L’eventuale 5% si può completare con vitigni a bacca rossa non aromatici idonei -, la fama di questo vino rosso è andata sempre più crescendo, diventando uno dei più apprezzati nella nostra Regione.

Dove

Ovviamente coltivato in collina, rigorosamente ad altezze non superiori ai 400 metri, i terreni preferiti nella coltivazione del Nebbiolo destinato alla produzione del Roero DOCG sono generalmente di origine argillosa-calcare e sabbiosa. Ad oggi, il disciplinare di produzione stabilisce che la denominazione Roero DOCG sia riservata a vini prodotti da uve Nebbiolo in misura non inferiore al 95%, coltivate in 19 comuni in provincia di Cuneo facenti parte dell’omonima regione collinare situata sulla sinistra orografica del fiume Tanaro.

Mirco Spadaro

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Mirco Spadaro

Classe '98, rivolese di nascita, frequenta il corso di Lettere Antiche a Torino, sotto il simbolo della città. Tra viaggi e libri, è innamorato della tecnologia e della scrittura e cerca, tra articoli e post su siti e giornali online, di congiungere queste due passioni, ora nella sua "carriera" come scrittore, ora con il "popolo di internet".

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