
I subrich: il segreto di un ghiotto piatto di strada che ha conquistato tutta Italia
Dalla Francia al Piemonte, poi dal Monferrato a Roma (dove diventano supplì) e dalla capitale in Sicilia (dove si trasformano in arancini): ovunque, con forme e nomi diversi, sono diventati un ghiotto piatto di strada da leccarsi i baffi, apprezzato in tutto il Paese. In questo articolo, la ricetta monferrina dei subrich di Masio
I subrich sono un retaggio di antiche tradizioni alimentari contadine e di quella cultura rurale del Piemonte che conosce bene il senso della fatica del lavoro nei campi e induce alla parsimonia, e a fare sempre dei passi più corti della gamba. Nelle campagne, la quantità del cibo cucinato era misurato. Mai scarso, però, perché il cibo era il necessario e indispensabile nutrimento per i contadini, che nei campi bruciavano, con il loro faticoso lavoro, energie e calorie.
Le razioni erano tuttavia proporzionate al numero dei commensali, e chi cucinava, stimava le dosi con sapienza e misura. Se succedeva che qualcosa di superfluo restasse nei tegami, era segno che a tavola si era mangiato a sufficienza. Un vecchio adagio popolare biasimava colui che si abbuffava ad ogni costo, pur di non lasciare nulla in pentola: la locuzione “pitòst che ròba vansa, chërpa pansa!” (cioè: piuttosto che avanzare qualcosa, faccio crepare la pancia) aveva infatti un registro negativo. Ma era parimenti giudicato sconveniente esagerare con le quantità cucinate.
Né si conosceva, nelle campagne, l’espressione “boccone della creanza”, tipica delle famiglie aristocratiche: nulla si doveva lasciare nel piatto. E se capitava che le dosi fossero risultate abbondanti, quel che era di troppo veniva recuperato. Gli avanzi venivano riciclati, ricucinati o riscaldati e gustati il giorno dopo, magari con qualche variante, o utilizzati spesso come ripieni: il più delle volte con sorprendenti risultati di gusto e di gradimento. In questo contesto culturale e in base al principio che in cucina nulla dev’essere sciupato, nacquero appunto i subrich, frittelle di forma tonda o di parallelepipedo, a base di riso e di erbe varie, o anche di patate, che dopo essere state passate nell’uovo sbattuto, ed impanate nel pan grattato, venivano fritte nell’olio.
I subrich sono diffusi in tutto il Piemonte, con varianti diverse e con forme differenti: a Torino la tradizione vuole che i subrich, a base soprattutto di risotto avanzato, abbiano forma di prismetti di otto-dieci centimetri di lunghezza e di quattro-cinque centimetri di larghezza e di altezza. Diciamo che, nella forma e nell’aspetto, i subrich torinesi ricordano un po’ i “sofficini” di pesce, ma in quanto a gusto ed ingredienti, siamo lontani anni luce.
Pare che il termine subrich derivi dal francese sur bric (sul mattone), forse perché i “subric” d’oltralpe (senza l’acca finale), termine con cui i nostri cugini francesi chiamano certe frittelle di riso o di patate, con cuore di erbette o di formaggio fuso, venivano cotti su pietra o nei forni a piastra.

Fatto sta che l’antica ricetta dei subrich (con o senza l’acca) si è diffusa nei secoli seguendo una rotta da Nord-Ovest a Sud-Est, adattandosi via via ai gusti locali, con l’aggiunta di aromi e di ingredienti diversi. Dalla Francia, i subrich hanno raggiunto Torino, poi il Monferrato, e di qui ancora, la loro ricetta si è spinta nel Lazio, e infine sono sbarcati in Sicilia, cambiando il nome e la forma, però. Così, a Roma, i subrich sono diventati supplì: non c’è rosticceria della capitale in cui non facciano bella mostra di sé le croccanti frittelle di riso, in forme differenti, né mancano bancarelle che li propongono come cibo di strada. Mentre in Sicilia, il commissario Montalbano docet, assunta in genere una forma più tondeggiante, si sono trasformati nei notissimi “arancini”, così chiamati perché nella forma e nel colore della crosta dorata, ricordano le arance siciliane (ce ne sono però anche a forma di tronco di cono). Ma dentro, da solo, o accompagnato da formaggio filante o altri ingredienti, il riso è rimasto.
Ma torniamo ai subrich piemontesi. Quelli di riso sono i più diffusi. Ma esistono anche quelli di luvertin e sèirass, quelli di cavolfiore, quelli di carciofo, quelli di patata ed altri ancora.

Particolarmente famosi sono quelli di Masio, località che a questa specialità dedica ogni anno una fiera (l’edizione 2020 non si è tenuta a causa della pandemia). Questo piccolo paese del Monferrato, di circa 1400 anime, si affaccia sulla sponda destra del Tanaro, in provincia di Alessandria. Se gli potessimo disegnare intorno un grande triangolo equilatero, ai cui vertici poniamo Torino, Milano e Genova, ebbene, Masio sarebbe perfettamente al centro di questa figura geometrica. Un comune incantevole e pittoresco, con una torre medievale quadrangolare del Duecento, perfettamente conservata. Ma oltre alle bellezze storiche e naturali, Masio vanta una specialità alimentare tipica che qui ha raggiunto vertici di bontà, al punto che ‒ da sola ‒ vale davvero un viaggio. Sono i “subrich” monferrini, che si contraddistinguono per la tipicità e la ricchezza della loro farcitura.
Se proprio non volete andarli a gustare sul posto, potete sempre provare a realizzarli a casa vostra. Ne diamo qui di seguito la ricetta, molto facile da realizzare.

Ingredienti
150 grammi di erbette selvatiche, ben nettate (e/o di asparagi se è stagione)
2-3 fettine di salame cotto
40 grammi di arrosto avanzato
2-3 cucchiai di riso bollito
2 cucchiai di grana padano o parmigiano reggiano grattugiato
3-4 uova
30 grammi di burro
sale e pepe q.b.
Preparazione
Tritate le erbette con una mezzaluna e poi fatele insaporire – unendo il burro – in una padella per 2 o 3 minuti, a fuoco moderato. Poi spegnete ed aggiungete il salame cotto, l’arrosto tritato e il riso, quindi mescolare. Unite le uova e il grana o il parmigiano grattugiato e amalgamate bene. Utilizzando il cucchiaio, formate delle polpette piatte e tondeggianti e friggetele in una padella, con abbondante olio extravergine di oliva bollente. Provateci. Non resterete delusi.
Ah, voglio concludere questo articolo con una curiosa nota di glottologia. Il subrich è talmente entrato nella cultura piemontese, che questo termine è diventato un epiteto. Veniva usato spesso con i bambini, come vezzeggiativo, in alternativa al termine “fricieul” (frittellina). Ma rivolto ad un adulto, assumeva un registro ben diverso. Dare del subrich a qualcuno significava sottolineare, di quella persona, un comportamento o un carattere piuttosto ingenuo o infantile.